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19 maggio 2016

Le poesie di "Re Lucertola"

Versi acuminati, visioni sciamaniche di una coscienza ora alterata che un attimo dopo appare dotata di una chiarezza perfetta.
Nella prima parte della raccolta, I signori, l'universo è tutto nelle lacerazioni - dell'individuo tra sé e sé, tra sé e il mondo - che solo l'arte può tentare di risolvere.

Sono poesie in cui sopra ogni cosa si tenta di stabilire nessi, relazioni tra entità che nella loro essenza pura si disgregano, sembrano perdere consistenza.

Ogni elemento esiste in virtù di altro, di ciò che lo nega: l'individuo, diviso tra la realtà del fuori e il mondo "all'interno del cranio", "lo spettatore è un animale morente" che esiste solo quando lo spettacolo accade.

E' un lirismo tragico, teso a definire un mondo caotico e oscuro, dove l'io trova faticosamente un ruolo in questo compito di riordinatore concettuale, disegnatore poetico dei suoi confini, preda delle proprie sempre più incontrollabili elucubrazioni. Ne esce un disegno complesso a tratti confuso ma coerente, in cui innegabilmente campeggia sopra ogni cosa l'Arte con i suoi protagonisti. L'individuo si aggira in questo disegno con l'ingombro del suo corpo, che ostacola e incuriosisce poiché "non si può camminare attraverso specchi o nuotare attraverso finestre"; corpo che "esiste a beneficio degli occhi; diviene un fusto secco per sostenere questi due delicati insaziabili gioielli".

Le visioni si fanno via via più nebulose e spezzate, e nella seconda parte del volume, Le nuove creature, frammentano il linguaggio segnando il distacco definitivo della coscienza dal reale.
Il poeta implode e si disgrega in un universo ormai in preda al delirio incontrollabile dei versi
tossici in cui versa la sua mente.

E' comprensibile che queste liriche siano generalmente poco apprezzate perché a differenza del tragico poetico de I Signori, - in cui tutto è in fermento, ogni sforzo è vitale e proteso a disegnare un orizzonte, cercare un senso, un posto nel mondo -, qui è veramente difficile scorgere un filo o un tema che persistendo lasci impressa in chi legge almeno un'atmosfera, evochi un suono, un paesaggio interiore in cui sentire di potersi riconoscere o anche solo rifugiare.
Sono poesie più lunghe, più articolate dei pensieri sparsi de I signori. Tuttavia è il mondo di un uomo in frantumi che non concede né si concede la minima opportunità di partecipare alla vita o di costituire il proprio essere e mostrarsi attraverso le parole. Il monologo onirico e delirante di una galassia in espansione, che si allontana da quei lettori che sono "quieti vampiri" come gli spettatori dei film, e in un gesto estremo li investe dei suoi detriti. Nessuna tregua e ancor meno speranze, per il poeta, per l'uomo, per noi.

Il dramma si compie. Negarsi e negare le parole, annientarsi innanzitutto nel linguaggio, come è accaduto ad altri numerosi artisti, porta inevitabilmente all'autodistruzione, e alla morte.

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