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26 gennaio 2016

L'uomo che leggeva il mondo



Che David Bowie fosse un grande lettore è noto da diversi anni. Ero ancora una ragazzina quando lessi un articolo sull'argomento. Possedeva una biblioteca con un numero impressionante di volumi, e si raccontava già allora di quanto fosse avido e irrequieto nel leggere, come la sua natura curiosa e probabilmente per molti aspetti morbosa, comandava. Si diceva anche (cito a memoria) che uno dei difetti della natura umana che riteneva  imperdonabile è la pigrizia mentale.
Tutto questo non fece che aumentare la già sconsiderata ammirazione che nutrivo per questo artista cervellotico dotato di una sensualità astratta, tanto più distaccato e inspiegabilmente lontano dal concetto di volgarità quanto più si ricopriva di maschere eccessive; dall'umorismo tagliente come un rasoio, folle e inquietante come un clown venuto da altri mondi, sognatore ai limiti del consentito, stupefacente ma sempre strettamente  connesso ai fenomeni e alle aberrazioni del suo tempo. Una psiche tanto sfaccettata da contenere un infinito numero di misteri da scoprire. Così come la vita dell'uomo e dell'artista è stata fino all'ultimo, infinita ricerca.

Riporto di seguito la lista dei cento libri preferiti di Bowie, in rete da molto tempo, ma in questi giorni prevedibilmente rimessa in circolazione, in buona compagnia di molte altre notizie, delle quali  la metà è imprecisa e un'altra buona percentuale è falsa - senza voler tener conto dei vari tentativi di sciacallaggio già attivamente all'opera, e credo di poter dire con sufficiente sicurezza che riguardo a questo siamo solo all'inizio. Come resistere all'impulso di impacchettare e rendere disponibile un nuovo prodotto da banco che già nasce in mille versioni diverse, vendibile anche senza ricetta, incredibilmente prolifico e buono (adesso) per tutti i mali?  Mi conforta pensare che proprio "lui" non possa non aver previsto tutto questo, e che come per tutti gli altri dettagli che riguardano l'epilogo della sua vita terrena, senza alcun dubbio deve aver pianificato ogni possibile  implicazione.
    


























Tornando alla lista, anche nuda e cruda racconta di per sé diverse cose, per esempio che se di ingordigia letteraria si trattava, non era però cieca voracità. Per quanto detto finora comunque, anche questa lista è da prendere con le molle per così dire.
Tanto per cominciare - e per finire, almeno per ora -  a me i libri risultano essere 99...


The Age of American Unreason (2008) di Susan Jacoby
La breve favolosa vita di Oscar Wao (2007) di Junot Díaz, Mondadori
La sponda di Utopia (2007) di Tom Stoppard, Sellerio
Teenage: The Creation of Youth 1875-1945 (2007) di Jon Savage
Ladra di Sarah Waters, Ponte delle grazie 2013
Processo a Henry Kissinger di Christopher Hitchens, Fazi 2003
Il gabinetto delle meraviglie di mr. Wilson (1999) di Lawrence Weschler, Adelphi
A People’s Tragedy: The Russian Revolution 1890-1924 (1997) di Orlando Figes
The Insult (1996) di Rupert Thomson
Wonder Boys (1995) di Michael Chabon
The Bird Artist (1994) di Howard Norman
Furoreggiava Kafka (1993 )di Anatole Broyard, Sylvestre Bonnard
Oltre il Brillo Box. Il mondo dell’arte dopo la fine della storia di Arthur C. Danto, Marinotti
Sexual personae: arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson di Camille Paglia, Einaudi
David Bomberg (1988) di Richard Cork
Sweet soul music. Il rhythm’n’blues e l’emancipazione dei neri d’Americadi Peter Guralnick, Arcana
Le vie dei canti (1986) di Bruce Chatwin, Adelphi
Hawksmoor (1985) di Peter Ackroyd
Nowhere To Run: The Story of Soul Music (1984) di Gerri Hirshey
Notti al circo di Angela Carter, Corbaccio
Money di Martin Amis, Einaudi
Rumore bianco di Don DeLillo, Einaudi
Il pappagallo di Flaubert di Julian Barnes, Einaudi
The Life and Times of Little Richard di Charles White
Storia del popolo americano: Dal 1492 a oggi di Howard Zinn, Il Saggiatore
Una banda di idioti di John Kennedy Toole, Marcos y Marcos
Interviste a Francis Bacon di David Sylvester, Skira
Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler, Mondadori
Gli strumenti delle tenebre di Anthony Burgess, Rizzoli
Raw (rivista di grafica) 1980-91
Viz (rivista) 1979 –
I vangeli gnostici (1979) di Elaine Pagels, Mondadori
Metropolitan Life (1978) di Fran Lebowitz
Fra le lenzuola e altri racconti (1978) di Ian McEwan, Einaudi
The Paris Review. Interviste (1977)
Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza (1976) di Julian Jaynes, Adelphi
Tales of Beatnik Glory (1975) di Ed Saunders
Mystery train. Visioni d’America nel rock (1975) di Greil Marcus, Editori Riuniti
Selected Poems (1974) Frank O’Hara
Before the Deluge: A Portrait of Berlin in the 1920s (1972) di Otto Friedrich
Nel castello di Barbablù (1971) di George Steiner, Garzanti
Octobriana and the Russian Underground (1971) di Peter Sadecky
The Sound of the City: The Rise of Rock and Roll (1970) di Charlie Gillete
Riflessioni su Christa T (1968) di Christa Wolf
Awopbopaloobop Alopbamboom: The Golden Age of Rock (1968) di Nik Cohn
Il maestro e Margherita (1967) di Mikhail Bulgakov, Fermento
Journey into the Whirlwind (1967) di Eugenia Ginzburg
Ultima fermata a Brooklyn (1966) di Hubert Selby Jr., Feltrinelli
A sangue freddo (1965) di Truman Capote, Garzanti
Città di notte (1965) di John Rechy, Marco Tropea Editore
Herzog (1964) di Saul Bellow, Mondadori
Puckoon,  (1963) di Spike Milligan
The American Way of Death (1963) di Jessica Mitford
Il sapore della gloria (1963) di Yukio Mishima, Feltrinelli
La prossima volta Il fuoco (1963) di James Baldwin, Feltrinelli
Arancia Meccanica (1962) di Anthony Burgess, Einaudi
Nel ventre della balena (1962) di George Orwell, Bompiani
Gli anni fulgenti di miss Brodie (1961), Muriel Spark, Adelphi
Private Eye, rivista satirica britannica pubblicata dal 1961
La via senza testa. Lo zen e la riscoperta dell’ovvio (1961), Douglas Harding, 1961
Silenzio, John Cage, 1961
Strange People (1961), Frank Edwards
L’io diviso (1960), R. D. Laing, Einaudi
All The Emperor’s Horses (1960), David Kidd
Billy Liar (1959), Keith Waterhouse
Il Gattopardo (1958), Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, Feltrinelli
Sulla strada (1957), Jack Kerouac, Mondadori
I persuasori occulti (1957), Vance Packard
La stanza di sopra (1957), John Braine, Garzanti
Una tomba per un delfino (1956), Alberto Denti di Pirajno
The Outsider (1956), Colin Wilson
Lolita (1955), Vladimir Nabokov, Adelphi
1984 (1949), George Orwell, Mondadori
The Street (1946), Ann Petry
Ragazzo negro (1945), Richard Wright, Einaudi
The Portable Dorothy Parker (1944) di Dorothy Parker
Lo straniero (1942) di Albert Camus, Bompiani
Il giorno della locusta (1939) di Nathanael West, et al. Edizioni Beano, (fumetto) 1938 –
La strada di Wigan Pier (1937) di George Orwell, Mondadori
Mr Norris se ne va (1935) di Christopher Isherwood, Einaudi
English Journey (1934) di J.B. Priestley
Infants of the Spring (1932) di Wallace Thurman
Il ponte La torre spezzata (1930) di Hart Crane, Mauro Pagliai Editore
Corpi vili (1930) di Evelyn Waugh, Bompiani
Mentre morivo (1930) di William Faulkner, Adelphi
Il 42esimo parallelo (1930) di John Dos Passos, BUR
Berlin Alexanderplatz, (1929) di Alfred Döblin, BUR
Passing, (1929) Nella Larsen, Sellerio
L’amante di Lady Chatterley (1928) di D.H. Lawrence, Giunti
Il Grande Gatsby (1925) di Francis Scott Fitzgerald, Edizioni Clandestine
La terra desolata (1922) T.S. Eliot, BUR
BLAST (1914–15) di Wyndham Lewis
McTeague (1899) di Frank Norris
La storia della magia con un’esposizione chiara e precisa delle sue regole, dei suoi riti e dei suoi misteri (1896) di Eliphas Lévi, Edizioni Brancato
Canti di Maldoror (1869) di Lautréamont, Feltrinelli
Madame Bovary (1856) di Gustave Flaubert, Edizioni Clandestine
Zanoni (1842) di Edward Bulwer-Lytton, Ascoltalibri Edizioni
Inferno, da “La Divina Commedia”, (1308–21) di Dante Alighieri, Edizioni Clandestine
Iliade (800 A.C) di Omero, Infilaindiana edizioni


24 gennaio 2016

Le farfalle notturne dell'Impero Russo


Questo libro fino ad ora a me sconosciuto di un autore sconosciuto mi è stato regalato anni fa ed è rimasto latente sullo scaffale, occhieggiando un giorno e per molti altri restandosene nascosto dietro altri dorsi e altri titoli e copertine.
Per qualche ragione o per nessuna in particolare ho iniziato a leggerlo un giorno del mese scorso. Si è subito rivelata una lettura originale, di quelle che sembrano avere come obiettivo quello di sgretolare le tue convinzioni personali su ciò che ti piace di più in letteratura. Convinzioni che bisogna dire ci si costruisce quasi sempre in base ad automatismi mentali fuorvianti. L'occhio che guarda sé stesso non restituisce mai, come si può facilmente comprendere, immagini troppo affidabili.

Non si tratta di un romanzo psicologico, o piuttosto lo è moltissimo, ma non è la psicologia dei personaggi ciò che traccia e fa muovere la trama. In copertina si parla di echi di Nabokov e di certo si, gli echi ci sono, anche se non sono le farfalle ad evocarlo. Di Nabokov mi sembra di avvertire il sapore agro di una vicenda che si svolge su piani sovrapposti, uno dei quali, il più affascinante per me, è freddo e cerebrale, l'occhio che guarda sé stesso appunto. Un altro invece è il tema caldo delle ossessioni maschili per la sfuggente natura femminile. Molti i fatti, gli spostamenti tra città e ambientazioni diverse dai nomi evocativi già alla pronuncia, Istanbul, Stoccolma, Livadia, Odessa. Arrivi partenze, dialoghi, attese, contrattazioni, fughe e lingue diverse che finiscono con il confondersi e mescolarsi in un gioco intrecciato di percezioni in cui è impossibile per il protagonista  non perdersi.
La ricerca della farfalla introvabile mi era sembrata fin dal principio una metafora debole, banale, della caccia alla donna inafferrabile (ma le farfalle notturne si presteranno anche ad altre metafore pertinenti alla storia). Eppure Prieto è riuscito a renderla interessante e credibile facendone una tessera inserita in un mosaico più grande, sfumato e complesso, in cui vicende di avventurieri dediti al contrabbando,  astute manovre di prostitute schiave di uomini barbari e pericolosi, donne menomate che diventano loro malgrado strumenti di altrui vite, navi mercantili e treni, attese vane e fughe, fanno da sfondo ad una storia tutto sommato semplice che si riempie di sostanza attraverso la mediazione delle lettere. Si tratta di lettere scritte a mano, esaltate e coltivate con una dedizione quasi compulsiva, e diventano il vero motore dello svolgersi dell'intera vicenda. Lettere che prendono vita ispirandosi a scambi epistolari più antichi sui quali disserta in alcuni casi diffusamente - così come l'autore di questo libro si nutre di molta letteratura del Novecento - cercando e creando con altre più illustri lettere continue corrispondenze, e che andando molto al di là del loro scopo come semplice mezzo di comunicazione, si costituisce come il filo sottilissimo che tiene unite le vite e i loro passaggi incrociati sull'intricata mappa del romanzo.

(Le farfalle notturne dell'Impero Russo, José Manuel Prieto - 2003, Marco Tropea Editore)


Biografia:
José Manuel Prieto è nato all'Avana nel 1962. Laureatosi in ingegneria a Novosibirsk, capitale della Siberia occidentale, è rimasto a vivere in Russia per dodici anni. Durante questo periodo ha lavorato come direttore commerciale in una ditta di esportazioni di dubbia fama ed è stato ingegnere in un piccolo villaggio della Siberia, oltre a svolgere lavori meno confessabili. Sempre in quegli anni ha tradotto dal russo allo spagnolo autori come Josif Brodskij e Anna Achmatova. Attualmente vive in Messico, dove insegna storia russa.

13 gennaio 2016

La morte dell'Idolo


E’ più facile giustificare la propria dipendenza per la rete e per i social network oggi, che una venerazione artistica. Se sei un sociopatico nella vita reale ma hai uno o più profili attivi sul web, a qualunque età non hai ragioni per sentirti un disadattato, un reietto.

Affido questa specie di confessione alla rete, così tento di vestire con la falsa dignità dei social una paginetta che non potrebbe comunque avere pretese pseudo-giornalistiche, meno che mai letterarie. Tanto vale allora farlo passare per uno dei tanti sfoghi diaristici e piuttosto patetici che imperversano un pò ovunque sul web, da piccola sciocca adolescente intrappolata in una donna alle soglie dei cinquant'anni.

D’altra parte tutti dobbiamo venerare qualcosa. Piuttosto che un dio, il denaro, l’alcol o la droga, meglio allora un idolo che sappia incarnare qualcosa di significativo, meglio anche una rockstar.

Un idolo ti rappresenta, ma non si tratta solo di questo. Il tuo idolo ti conosce, sa chi sei. Quello che fa, lo fa per te, ed è la cosa giusta che serve a te in quel preciso momento della tua evoluzione interiore. Ti accudisce accogliendoti sotto la sua ala, ti accompagna nelle tue noiose o frenetiche giornate piene di impegni ordinari, ti sorprende. Sa cosa fare per rendere la tua vita interessante, è disturbante quando occorre. Ti rassicura, perché le cose che fa, le qualità che incarna sono cose che non sapevi di volere e di essere, e te le fa scoprire. 

Il tuo idolo ti serve, perché ti fa sentire una persona giusta e a posto anche se nel tempo ti sei convinto di essere davvero uno strano, un disadattato o un depresso. Un idolo è un agglomerato di gesti e scelte che diventano i simboli di ogni tua più inconfessabile o magari bellissima particolarità.  Ti definisce, disegna i tuoi contorni, traccia i confini del tuo cosmo. Ti cambia. E’ il tuo vestito di scena, la tua maschera, il tuo sguardo nascosto disperso  per il mondo, un messaggero che porta in casa tua quello che c’è là fuori, e il suo sguardo magicamente è il tuo.

Nel corso degli anni mi sono scelta alcuni idoli, certi fuochi improvvisi spentisi rapidamente così come erano divampati, altri nati nella noia lenta di un tempo dilatato come quello dell'adolescenza -  oppure più tardi con il rinnovato piacere della scoperta in età matura, -  che ardono tuttora di fiamma viva. Tutti hanno in comune una natura creativa, un animo artistico. Si tratta di musicisti, letterati, poeti. Il primo, il più grande e longevo, e l'unico che mi sia scelta che fosse ancora in vita, stella della musica rock/pop, e poi ancora tante tante altre cose, è David Bowie.

Quando avevo dodici o forse tredici anni mi capitò tra le mani un LP che mia sorella aveva portato a casa, forse il prestito di qualcuno: a lei e a quel qualcuno per questa ragione sarò eternamente riconoscente. Il primissimo piano del volto sulla copertina mi colpì immediatamente: una delicata fontana di capelli rossi, la pelle diafana e lievemente cosparsa di lentiggini, un piccolo neo sul labbro superiore, poi gli occhi:  uno specchio d’acqua limpida dai riflessi verdi sulla sinistra, un lago oscuro ampio e profondo sulla destra. Lo sguardo che è diventato il segno di una persistente originalità.  Il disco sul piatto, nell’aria risuonò Space Oddity. Da quel giorno per molto tempo non ci fu altro che questo, a ripetizione, un volto pallido e sfuggente che guardava sopra la mia spalla, e quelle canzoni, quella musica, quelle parole, quella voce. Negli anni a seguire ci furono tanti altri dischi, altri volti, maschere cangianti, e altre canzoni, poi i film. Ma sempre soprattutto la musica. Non era un idolo facile da portarsi appiccicato sul petto alla fine degli anni '70 in Italia. Alla scuola media non avevano idea di cosa parlassi. Ho covato il mio fuoco in segreto per anni. E mai avrei potuto sospettare allora, che tutto questo non sarebbe mai finito.

Space Oddity è stato una specie di portale verso un universo che si esprimeva attraverso un linguaggio completamente nuovo, una specie di crittografia del mondo così come ero abituata a conoscerlo. Allora non capivo quasi nulla di ciò che volesse dire, ma ora non credo che fosse così importante capire tutto. E in fondo non lo è stato neanche dopo. Il messaggio che ricevevo era che il mistero è qualcosa da coltivare e di cui nutrirsi, che esiste molto altro al di là della superficie levigata del reale. Che anche il più irriverente e provocatorio dei testi e dei travestimenti può essere maneggiato con incorruttibile eleganza, che se cammini nel territorio dell'arte puoi diventare intoccabile, e puro. Ogni esperimento musicale, ogni costume, ogni testo, ogni nuova spiazzante trovata mi comunicava che sentirsi diversi dagli altri, e soli, può anche essere una cosa buona, che possiamo utilizzare il nostro senso di alienazione e la nostra specifica individualità per farne qualcosa di strano e perfino bello, se non per tutti almeno per qualcuno. Che possiamo giocare con le nostre particolarità, con un po’ di abilità e di immaginazione riuscendo addirittura ad essere o sembrare quello che vogliamo, e divertirci. Possiamo nasconderci, al punto da mostrarci per quello che siamo senza nemmeno accorgercene. Naturalmente non è così semplice. Ma gli eroi dell'arte servono a questo, fanno tutto il lavoro anche per noi. Hanno il talento, i mezzi, la tenacia, l'arroganza, di certo anche la fortuna, ma soprattutto il coraggio per rischiare e fare tutto quello che noi comuni mortali per varie ragioni non potremmo nella nostra vita ordinaria. Ci permettono di avvicinarci al mistero, alla bellezza, al succo della vita e della morte, e del senso del nostro stare qui. Praticano esorcismi alle nostre più segrete paure. Tutto questo è stato Bowie per me. In questi ultimi quarant'anni o giù di lì ho fatto così tante cose, ho scritto, immaginato, sognato, disegnato, suonato, mi sono sentita felice, triste, attratta, perduta, turbata in tanti modi diversi, spaventata, ispirata, dalla musica e da tutte le geniali follie del mio grande idolo.

Ecco perché oggi, proprio oggi, il terzo giorno dopo il suo 69° compleanno, il terzo dopo aver ricevuto a casa la stella nera del suo ultimo regalo al mondo, oggi in questo 11 gennaio 2016 vengo a sapere della sua morte, e sento che si è spenta una luce, che niente sarà più bello luminoso e interessante come lo era prima. Per questo come me altre persone sparse per il mondo con ogni probabilità stanno provando la stessa strana profonda per certi versi incomprensibile tristezza. Il presente ora sembra buio e vuoto, improvvisamente bloccato, deprivato del poter essere abitato ancora dalla lucida pazzia contenuta in una famelica concezione dell'arte che ha spaziato in ogni direzione succhiando sostanza dal materiale a disposizione del momento, da un'originale e sempre imprevedibile interpretazione del reale e della contemporaneità.

Mentre penso a come David Bowie abbia usato, meticolosamente pianificato e in questo modo sconfitto la propria morte per creare la sua ultima straordinaria opera d'arte, a come abbia dato il meglio di sé fino all'ultimo giorno della propria esistenza terrena e artistica, - queste due da sempre una cosa sola - , sento di essergli grata, perché la creazione di un'opera d'arte è un atto che serve a gratificare e ad esprimere l'ego del suo autore, ma non appena divulgata comincia a vivere di vita propria e diventa un regalo al mondo, a chiunque voglia e sappia raccoglierlo e riconoscerlo.

Io adesso resto qui, immobile, fiera e composta come una vedova aliena, e sola, aspetto. Perché niente che lo riguardi è mai accaduto per caso. E di certo neanche questa volta. Non dimentichiamo le antiche parabole, le nostre ataviche certezze.

Era il terzo giorno quando Gesù annunciò la morte di Lazzaro. E come tutti sanno, Lazzaro dopo il terzo giorno, è resuscitato.


12 gennaio 2016

Madness

















In my madness
I see your face in mine
I keep a photograph
It burns my wall with time
Time
An occasional dream
Of mine

(David Bowie, An Occasional Dream)