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12 ottobre 2012

Ettore Fobo

La prosa di Ettore Fobo, che sia un discorso su prose o poesie di altri oppure un riflesso interiore, è scritta in una lingua chiara: niente potrebbe nascondersi dietro le parole se non le ombre stesse dei contenuti che creando anfratti e cunicoli rendono desiderabile diramare simultaneamente i percorsi del pensiero. E' proprio questo il linguaggio che mi illudo di riconoscere, in parte per essere giustificata ad abbandonare la strada appena scelta per altre strade tutte coerenti con quella originaria poiché la sorgente stessa è mobile, instabile, perfetta e inutile, colma di vuoto. Sembra che la sostanza dei versi sia polvere staccata da questi pensieri appena più concreti, in cui tutto ciò che si rappresenta come umano è sfuggente e indefinibile, ma sempre riconoscibile. E' un'intercapedine in cui restare o muoversi, un luogo sempre tragico ma anche ridicolo, perché non manca mai la connotazione di eccessiva importanza nè l'assenza di significato dell'essere uomo, centro esatto di un niente e contenitore involontario di un universo non meno assente. Ciò che fluisce aumentando di spessore per poi dissolversi nuovamente tra un verso e una verità sottintesa se non taciuta - resa pura visione - è una specie di grazia della consapevolezza limpida e tranquilla di questo niente, e del ruolo della poesia che se ne fa voce per lo più inascoltata. In nessun tempo più che tra questi versi ombre e solitudine sono bene accette, la guerra è aperta e mai combattuta tra i due orrori opposti, le due condanne tra cui non è dato scegliere o mediare: l'omologazione o il silenzio - mentre la natura (il corpo, il sangue) fa da specchio agli aspetti più gelidi e vuoti di cui è intrisa l'esistenza sfiorati dalla brillantezza del momento predestinato alla fine.


"Vivo in quest'alito di inchiostro"

"(...) potremmo vivere in un flessuoso
vagito di ossessioni e visioni
od andare preconfezionati e infetti
tra i sassi sfatti od intatti
annegare nel plancton sciamante
dagli artigli del Re Corvo."

"No, nemmeno andarsene è utile,
bisogna nascere e vivere con lo slancio
di un milione di corvi, sotto il sole afflitto
di un'intelligenza che ha visto tutto."

"Togliersi una maschera
non è cosa da poco,
perchè sotto la sua scorza
strati di pelle maciullata
dicono quanto ella fosse,
seppur per breve istante,
proprio il nostro volto.

Non è poco
togliersi una maschera,
spesse volte è il vuoto
quello che copriva,
o la ben nota
stanchezza di essere cosa,
sotto il vilipendio dell'assenza."

"Custode di una perla di follia,
aveva versi rapidi come il fiume,
distoglieva il gioco dal suo senso,
moltiplicava abissi e si perdeva
in sconnessioni orfiche e danzava.
(...)
Con questo vento di poesie fuori dalle tasche,
fogli scritti col lapis,
per darla a bere al nulla, alla luna,
coll'impeto delle sue lacerazioni."

 (Ettore Fobo, da Sotto una luna in polvere, Kipple Officina Libraria, 2010)

Estasi e materia

"Mi capita di provare la stessa ripugnanza di quell'uomo che si uccise per non doversi più radere tutte le mattine. E tuttavia, il quotidiano, il quotidiano soltanto riesce a farmi aggrappare all'esistenza. Questi piccoli obblighi, questi ritmi sono formativi. Mi sono necessari. Mi liberano perché mi sottomettono. E' così: ho bisogno della schiavitù, delle regole di vita, dei ritmi. La mia libertà sopravvive soltanto all'interno di questa cornice. Allora, perché questa ripugnanza? Può darsi che il mio spirito non desideri veramente vivere? E' forse il lontano rumore di una tentazione profonda in ogni uomo, la tentazione del suicidio? Ogni minuto racchiude questa strana dualità. Il corpo é la vità, lo spirito é morte. La materia é l'essere, l'intelletto il nulla. E il segreto assoluto del pensiero é senza dubbio questo desiderio mai dimenticato di reimmergersi nella più estatica fusione con la materia, nel concreto tanto concreto da divenire astratto. La vita é forse questo passaggio, questa situazione tragica e instabile, questo nodo, questo punto che si muove sulla linea d'evoluzione dal nulla al nulla.
(...)
Anche rinunciare al piacere d'essere umili é duro. E' duro respingere questa parte di sé friabile, succulenta, generosa. E' duro sapere con esattezza ciò che si é. E' più facile lasciarsi andare a un esaltato affaccendarsi, ricevere lodi, dire a se stessi che si fa il bene. Questo lusinga. Questo permette momenti esaltanti. Al paragone di una simile civetteria, mi sembra molto preferibile l'orgoglio.
La pietà é intollerante, l'amore é tirannico, la virtù é ipocrita e la carità ingiuriosa. Se li paragoniamo a queste imbecilli virtù, i difetti sono meno aggressivi. Essi almeno non imbrogliano.
(...)
Povertà. Silenzio. Dolcezza. Non é nemmeno necessario essere lucidi. Nella pratica sistematica dell'illusione, c'é una povertà autentica e profonda. Sprofondato nel proprio gorgo, nella miserabile vertigine dell'immaginario, l'uomo può trovare questa umile pace, questa virtuosa riservatezza. Perché l'importante non sta nei livelli: ciò che é, é nell'essenza; e c'é una virtù della menzogna come c'é una virtù dell'esattezza. L'armatura, lo scheletro duro e indomabile dell'uomo, é questa fierezza che ha fatto il cammino a ritroso su se stessa ed é divenuta umiltà. Chi transige, chi mercanteggia con se stesso non é degno di essere piccolo. La volontà dell'infelicità non é facile: vuole essere portata fino in fondo, ha sete di infinito, desiderio di assoluto. Per essere abbandonato nudo e solo ci vuole passione e follia, come per essere grande fra i grandi. La gloria e l'infermità sono sovente della stessa natura: supremo orgoglio e suprema umiliazione tanto per l'una che per l'altra."

(J.M.G.Le Clézio, Estasi e Materia)

America

"Volevo scrivere qualcosa che parlasse a livello molto, molto profondo dell'America (...)"

(David Foster Wallace, Although of Course You End Up Becoming Yourself)

Le menti umane

"Mentre l'estate si avvicinava, e le sere si allungavano, agli speranzosi, ai vigili, che passeggiavano sulla spiaggia, apparvero immagini le più strane -  carni trasformate in atomi che il vento trasportava, stelle che guizzavano nei cuori, rupi, mare, nuvole, messi lì apposta tutti insieme per riunire all'esterno gli elementi dispersi di una visione interiore. In quegli specchi che sono le menti umane, in quelle pozze di acque inquiete in cui di continuo le nuvole mutano e si formano delle ombre, i sogni persistevano, ed era impossibile resistere alle strane premonizioni che i gabbiani, i fiori, gli alberi, gli uomini, le donne, e fin la bianca terra sembravano proclamare (ma se interrogati, pronti a ritrattare): il bene trionfa, la felicità vince, l'ordine predomina. Impossibile resistere allo stimolo insolito di vagare in ogni direzione alla ricerca di un bene assoluto, un cristallo di intensità, distante dai piaceri conosciuti e dalle virtù familiari, estraneo ai processi della vita domestica, unico, duro, luminoso, come un diamante nella sabbia, che fa sicuro chi lo possieda."

(V. Woolf, Al faro)