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24 ottobre 2018

Una storia ungherese, anzi no: italiana



"Ma l’odio non è germogliato all’improvviso. Oh no. Io ho visto la gente di Budapest cambiare. Un pomeriggio dello scorso inverno, poco prima dell’invasione tedesca, ero sul tram quando sono saliti due zingari. Tra i passeggeri si è creata subito tensione. Gli sguardi bassi accompagnavano il silenzio che iniziava a rotolare lento; le parole si spegnevano a canone, prima le voci di quelli dietro quindi di quelli davanti. In un istante, il silenzio ha invaso tutto il tram. Le mani stringevano più forte le borsette o affondavano ancor più nelle tasche. Il controllore ha chiesto ai due zingari i biglietti. Erano anziani. Probabilmente erano arrivati a Budapest da poco. Hanno mostrato il loro biglietto. Il controllore ha detto che non andava bene. Tutti noi che eravamo lì abbiamo visto che il tagliando esibito era corretto. Nessuno ha fatto niente. Neanche io."


Una storia ungherese - Margherita Loy




12 ottobre 2018

Richard Yates - Revolutionary Road



La messa in scena della classe media Americana. Non da parte di Yates, ma di sé stessa,  raccontata da Yates. Il teatro sociale non è un'invenzione di Yates. Lo hanno rappresentato prima di lui Oscar Wilde, Proust, Jane Austen, Virginia Woolf, e altri.  Questo romanzo è un classico, questo tema è universale, spalmato nello spazio e nel tempo.  I Wheeler recitano il loro ruolo di individui e di soggetti sociali presi in un ingranaggio che si illudono di governare (il nome Wheeler, ben descrive il destino di una ruota che gira a vuoto).  E nei termini in cui si esprime la tensione tra questi due aspetti risiede la sua credibilità, proprio mentre lascia trasparire la natura di insondabile mistero insita nel reale. I dialoghi fasulli, la gestualità aritificiosa, il compiacimento delle proprie scelte, sono i fragili mezzi con i quali i due coniugi perserverano nell'illusione della coppia illuminata.
C'è tutto il senso di questo romanzo nella scelta di Yates di far mettere la verità sul piatto a uno psicotico. Uscire dall'ingranaggio per lui significa finire internato, ovviamente. L'unico modo possibile di gridare al mondo la verità, svelando il silenzio tombale e il vuoto assoluto su cui era costruita la loro realtà.


09 ottobre 2018

Non coraggio


Io non ce l'ho il coraggio di dire veramente cosa mi piace e non mi piace
Non ho il coraggio di tirare dritto saltare l'uscita della Pontina e andare verso un luogo a caso
Non ho il coraggio di andare un giorno a via Giannetto Valli, aggrapparmi alle aste nere del portone e guardare in fondo all'atrio per vedere se c'è ancora il bassorilievo in bronzo
Non ce l'ho il coraggio di andare al parco e mettermi a copiare qualche ventoso pensiero davanti a tutti
Io non ho davvero il coraggio di presentarmi con questo corpo davanti a persone di cui  non riuscirei a trattenere lo sguardo
Io non ho il coraggio di mettermi a pensare seriamente cosa non va in questo paese
Vorrei, ma non ho il coraggio di prendere l'ukulele e mettermi a suonare
Non ho il coraggio di parlare e di accettare la mia voce
Non ho il coraggio di prendere un aereo senza i tranquillanti
Io il coraggio non ce l'ho di affrontare con leggerezza l'idea del tempo
E non ho il coraggio di ignorare le parole