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20 giugno 2024

I am old. I am young. I am Gwion



"Achyn buasswn asvmsei

Arnaf. bwyf derwyn y duv diheu.
Achyn mynhwyf deryn creu.
Achyn del ewynuriw ar vyggeneu.
Achyn vyg hyfalle ar y llathen preu.
Poet ym heneit ydagyfedeu.
Abreid om dyweit llythyr llyfreu.
Kystud dygyn gwedy gwely agheu.
Ar sawl agigluen vymbardgyfreu.
Ry prynwnt wlat nef adef goreu."

(Prif Cyfarch, Llfyr Taliesin I)




"And before I existed He had perceived me.

May I be ardently devoted to God!
And before I desire the end of existence,
And before the broken foam shall come upon my lips,
And before I become connected with wooden boards,
May there be festivals to my soul!
Book-learning scarcely tells me
Of severe afflictions after death-bed;
And such as have heard my bardic books
They shall obtain the region of heaven, the best of all abodes."

(Taliesin's First Address, The Book of Taliesin, I)



"E prima che io esistessi, Lui mi aveva percepito.

Possa io essere ardentemente devoto a Dio!
E prima che desideri la fine dell'esistenza,
E prima che la schiuma spezzata venga sulle mie labbra,
E prima che diventi legato alle tavole di legno,
Possano esserci festival per la mia anima!
Lo studio dei libri a malapena mi racconta
Delle gravi afflizioni dopo il letto di morte;
E quelli che hanno ascoltato i miei libri bardici
Otterranno la regione del cielo, la migliore di tutte le dimore."



14 giugno 2024

Berlino

































Berlino è un luogo in cui trovare ispirazione. Tra le sue strade si respira un'aria piuttosto meditativa e originale. Il tempo non scorre in un flusso lineare; lo spazio è organizzato in modo poco tradizionale. I confini tra centro e periferia sono sfumati e confusi: l'ombra del muro, le cui tracce sono meticolosamente conservate ovunque sul terreno, sposta e ridefinisce di continuo i riferimenti. I palazzi dell'ex-DDR, i nuovi grattacieli, le architetture imperiali e le pesanti sperimentazioni di inizio '900 in mattoni rossi convivono pacificamente in schizofrenica disarmonia. Potsdamer Platz non ha più nulla della distesa deserta e polverosa di Wim Wenders, è un luogo di passaggio e di aggregazione in cui, accanto alle vestigia sottovetro vagamente inquietanti dello storico Hotel Esplanade e al primo semaforo europeo, troneggiano architetture fin troppo grandiose come il Sony Center, spettacolare e un pò fuori contesto, eppure in certa misura introspettivo con la sua forma avvolgente e il tetto a ombrello, trasposizione in cavi e acciaio del monte Fuji. Sedendo a uno dei caffè del centro, ho provato la sensazione ovattata di trovarmi all'interno di una conchiglia.

La città, per un viaggiatore che viene dal caos di Roma, è inverosimilmente calma. I luoghi più visitati come i musei d'arte o di interesse storico legati alla seconda guerra mondiale e al muro, attraggono molti visitatori, gruppi numerosi, scuole. La natura dei luoghi e la loro storia impongono tacitamente una cautela che ovunque ho trovato rispettata. Non dovrebbe essere sorprendente, eppure non mi sono mai sentita tanto a mio agio. Di certo aiuta un controllo capillare ed efficace. Forse si tratta della natura stessa del viaggiatore che si avvicina a una città come Berlino in cui il peso della storia, di una storia recente, è vivo, trasuda ad ogni angolo, si respira, si vede. Non può e non vuole essere ignorato. In metropolitana, ad Alexanderplatz, alla stazione dello Zoo, una umanità varia e brulicante vive il suo tempo. Il tempo e il divenire sono particelle di materia disperse nell'aria, come una coscienza percepibile. A volte è il silenzio mentre le voci si accavallano, un fermo immagine quando tutto è in movimento.





























Anche qui come altrove tutto è cambiato, dicono, e intendono dire che qualcosa di unico è andato perduto per sempre. Eppure permane una spiccata intensità, una specificità interna simile a una forma di resistenza. Come una certa immunità alla massificazione, che si manifesta nei tanti modi di vestire, di pettinarsi. Ti guardi intorno e ti senti strano. Sei lì per visitarla, ma in qualche modo finisci per essere tu l'oggetto osservato, anche se nessuno sembra far caso a te o agli altri. Una piccola scintilla si accende, un minuscolo scatto di crescita. Non vorresti proprio sentirti così ordinario.




(Foto Elena Blank, 2018) 

28 maggio 2024

La giostra

 

Un insolito affaccio

il contorno del braccio

la melodia da una vecchia radio

zingara sincera e fiera

si approfitta del mare che ho dentro

illuminante fatica del giorno

giostra traditrice il fieno frusciante

azzurro pastoso mi chiami ed io esco

tutto attraversa me

risuona 

e divento diversa

18 maggio 2024

Il potere del suono (e del silenzio)

La parabola dei Talk Talk è interessante.

Si affermano a metà degli anni ’80 (Such a Shame, 1984, It’s My Life, 1984)

La voce di Mark Hollis è strana, nasale e stirata, dà l'impressione che sotto le ritmiche elettroniche accattivanti vibrino corde di altra natura in cerca di una strada per uscire allo scoperto. 

Questo fa sì che anche i brani da classifica risuonino come qualcosa di più astratto, di un'intenzione più profonda. I testi, piuttosto scarni, confermano questa sensazione. Tra i vaghi afflati esistenziali trapela l'eterno dilemma dell'artista diviso tra ricerca della fama e desiderio di esprimersi liberamente, dire quello che si vuole come si vuole.

In 'It's my Life' Mark Hollis scrive "Convinco me stesso (...) E' la mia vita (...) Convinco me stesso (...) Perso tra la folla (...) E mi sono chiesto, quanto impegno ci metti (...) Non dimenticare (...) Preso tra la folla (...) E' la mia vita Non finisce mai"

In 'Such a Shame" : "È un peccato" (ma shame significa anche vergogna) "credere nella fuga, una vita su ogni volto E questo è un cambiamento (...) Questa voglia di cambiare E' un peccato I dadi decidono il mio destino È un peccato In queste mani tremanti La mia fede mi dice di reagire, non mi interessa Forse è scortese che io debba cambiare  Un sentimento che condividiamo È un peccato (...) Forse non so se dovrei cambiare Un sentimento che condividiamo È un peccato (...) Scrivilo sul mio nome (...) "

La discografia conta cinque album in studio del gruppo e un album di Mark Hollis da solista, oltre alle raccolte e agli album dal vivo.

1982 The Party’s Over

1984 It’s My Life

1986 The Colour of Spring

1988 The Spirit of Eden

1991 The Laughing Stock

1998 Mark Hollis

The Colour of Spring arriva dopo soli quattro anni dai primi successi, ed è considerato un album di transizione verso una musicalità più intima e ricercata, e le cose si fanno interessanti. 

Il testo di “I don’t believe in you” mi sembra emblematico, e lo trascrivo per intero:


Ora il divertimento è finito

Now the fun is over

Dove iniziano le parole?
Where do words begin?

Sto cercando di trovare la strada da percorrere
I'm trying to find the path ahead

In qualunque modo tu lo dica
Any way you say it

La farsa continua
The charade goes on

Ma i tuoi occhi non lo vedranno
But your eyes won't see it

E' la stessa vecchia canzone
It's the same old song

Non ti credo
I don't believe you

Non ti credo
I don't believe you

Promesse così d'oro
Promises so golden

Gli anni hanno dimostrato che si sbagliavano
Years have proved them wrong

Sto cercando di lasciare un po' di rispetto per me stesso
I'm trying to leave some self-respect

In qualunque modo tu lo dica
Any way you say it

Il nostro declino continua
Our decline goes on

Ma il tuo orgoglio non ci darà ascolto
But your pride won't heed it

E' la stessa vecchia canzone
It's the same old song

Non ti credo
I don't believe you

Non ti credo
I don't believe you

Io no, non credo in te
I don't, I don't believe in you

E il modo in cui lo giochi
And the way you play it

È il modo in cui lo desideri
Is the way you want

In qualunque modo lo canti
Any way you sing it

E' la stessa vecchia canzone
It's the same old song

Non ti credo
I don't believe you

Non ti credo
I don't believe you

Non ti credo
I don't believe you

Non ti credo
I don't believe you

The Spirit of Eden e The Laughing Stock proseguono su questa strada perfezionandola, creando universi musicali più astratti e atmosfere più rarefatte. Nei testi si fa strada la spiritualità.

Nel 1998 arriva l'album solista di Mark Hollis, l'ultimo, in cui abitano sonorità jazz, melodie sospese, e silenzi. La voce colora il tutto di tonalità calde, di una profondità senza peso.


Di seguito I don’t believe in you, da The Colour of Spring:




Inheritance, da The Spirit of Eden:


Mark Hollis si è eclissato dopo il suo primo e unico album solista, ritirandosi del tutto dalla scena musicale. Già dal 1986 aveva scelto di non esibirsi più dal vivo.

Muore nel 2019.

In una bella intervista per la televisione danese rilasciata nel 1998 dopo l'uscita del suo album da solista, Mark Hollis appare timido, sincero, disarmante.

Sul ruolo della voce ha ovviamente molto da dire (mi scuso per eventuali errori di traduzione).

M.H.: Devi trattare la voce come uno strumento, non deve dominare, deve inserirsi nel paesaggio insieme a tutto il resto - devi vederla da un punto di vista melodico, le inflessioni devono riverberare una luce simile. Pensa ad esempio ad un clarinetto, a certe note che devono avere un certo suono - e così quando scrivi un testo devi prendere un certo blocco e inserirlo anche da un punto di vista fonetico, affinché quando canti suoni in un certo modo. Quando scrivi il testo devi farlo in modo che quando canti risulti credibile. E così che lavoro, parto da questo assunto. Hai a disposizione un gran numero di parole con quel particolare suono, e questo rende le cose più difficili, ma è così che riesci ad ottienere il risultato. Il testo è molto molto importante, perché dal punto di vista del canto, per una buona performance, devi credere in ciò che canti, e per fare questo devi scrivere qualcosa che abbia potere quando lo usi.  

Giornalista: Quindi non significa niente per te il fatto che io, come ascoltatore, possa non comprendere realmente il testo.

M.H.: No, è come se scrivessi le poesie di Stéphane Mallarmé, come se fossero poesie francesi, ed è lo stesso per me quando ascolto per la prima volta quel certo pezzo di musica, amo semplicemente la musica per ciò che è la musica, e il fatto che non posso capire il linguaggio è una considerazione assolutamente secondaria. Poi, poter trovare la traduzione è una specie di bonus. E' di importanza fondamentale nella performance, ma è leggermente secondario in termini di ascolto.

Giornalista: Il silenzio è importante per te, non c'è silenzio solo tra un brano e l'altro, c'è silenzio anche all'interno dei brani.

M.H.: Assolutamente. Prima di suonare due note, impara a suonare una sola nota. E' semplice, si tratta solo di questo. E non suonare nemmeno una nota, se non hai una ragione per farlo. Amo il silenzio, non ho alcun problema con il silenzio. E' soltanto silenzioso. E se stai per romperlo entrandoci dentro, cerca di avere una buona ragione per farlo.

 





06 maggio 2024

Il giusto vino



(Antonio Donghi
(Roma, 16 marzo 1897 – Roma, 16 luglio 1963)
Giovinetta, 1931
Galleria d'Arte Moderna di Genova)


Benedetto liquido trasparente traslucido!

I tuoi bagliori mi sciroppano il passato e il futuro, 

e ingarbugli tanto il presente così che io possa finalmente afferrarlo.

Gli alberi immobili mi osservano, e giudicano 

Durante la movida quotidiana dei doveri ci si apparecchiano

i soliti rancori, i rovesciamenti di intenti

Ma basta ridere, e guadagnare sulle mancanze di senso!

Si parli in piena libertà o si taccia per sempre. 

E per questo dappertutto si tace.


01 maggio 2024

Fantasmi americani









 Le ossessioni di Paul Auster avvinghiano lentamente.  I suoi fantasmi sono parole e cose sempre troppo slegate o troppo legate a scarni significati, maschere, specchi, percorsi oscuri, gorghi mentali, vane strategie di ricerca di un'identità che gioca irrimediabilmente a rimpiattino, luoghi apparentemente familiari che diventano labirinti in cui smarrirsi prima di rendersi conto di aver percorso un solo passo. Palazzi, strade, vicoli, muri, finestre, porte, si chiudono in trappole mortali. L'immobilità si tramuta silenziosamente in una spirale senza uscita. Batte sempre il rintocco sordo e pesante della letteratura, l'ombra persecutoria ma anche irrinunciabile di poeti e scrittori, Milton, Melville in Città di vetro, Walt Whitman, Henry David Thoreau in Fantasmi. I protagonisti qui sono molte cose e nessuna, sono anche ombre di scrittori. La solitudine è così profonda da non rappresentare un ostacolo o una sofferenza, semplicemente i rapporti umani o familiari sono impossibili, crudeli o fallimentari. Non so ancora dove e attraverso quali ribaltamenti repentini di situazioni sul filo della follia si cercherà Auster ne La stanza chiusa. Di certo il titolo anticipa eloquentemente quanto dovrò attraversare ancora di claustrofobico.



"E poi più importante di tutto: ricordare chi sono. Ricordare chi dovrei essere. Non credo che questo sia un gioco. D'altra parte, non c'è niente di chiaro. Per esempio: tu chi sei? E se pensi di saperlo, perché continui a mentire? Non ho risposta. Non posso dire altro che questo: ascoltami. Mi chiamo Paul Auster. Non è il mio vero nome."

Paul Auster, Trilogia di New York, Città di vetro.


Da uno dei mie blog >> Vagamente sonnambula

28 aprile 2024

KM

"Non devo dimenticare la mia timidezza davanti alle porte chiuse. La mia lotta interiore sul bussare troppo forte o non abbastanza forte... E' profonda, profonda, profonda: è, di fatto, la "spiegazione" del fallimento di KM come scrittrice fino a oggi."


Katherine Mansfield, La vita della vita - Diari 1903-1923 

26 aprile 2024

Cerco



E al mattino al mio risveglioCerco in cielo gli aironiE il profumo bianco del giglioCerco in tutte le canzoniE in un passero sul ramoUno spunto per la rivoluzioneCerco il filo di un ricamoUn accordo in la minorePer gridare forte t'amoSe ho degli attimi di rancoreCerco te e la tua boccaNei tuoi occhi trovo amore
Cerco la mia malattiaIn un bar e nelle carteLa mia dannata periferiaCerco gli occhi di chi parteDi chi si ferma e chi va in frettaLa sincerità nell'arte
Cerco il punk in una lamettaLa felicità ed il doloreNel fumo di una sigarettaSe ho degli attimi di rancoreCerco te e la tua boccaNei tuoi occhi trovo amore

Rino Gaetano, 1978


 

09 agosto 2023

Ora

 

(Elena Blank, Donna senza mani, 2010)
                


   Forse ora, proprio ora

che ho costruito questa solitudine intorno a me

che avrò i grandi spazi vuoti di una casa ad avvolgermi

che nessuno verrà a stordirmi

                             a spaventarmi

  Forse proprio ora  

che mi ritroverò

veramente sola, così come

            per tanto tempo ho fantasticato di poter essere

  Forse proprio ora, sarò più lieve

riuscirò a mantenermi in superficie

Ora che nessuno mi ricaccerà in fondo al buio

che non mi sentirò più

          costretta a nascondermi, a inabissarmi

giù in fondo, sempre più in fondo

   Forse così sola

sarò veramente libera

di avvicinarmi al mondo.

06 febbraio 2023

Elegia del tempo che fu



Era bello conoscere le persone quando non le conoscevi e desideravi conoscerle
Quando tutto accadeva per caso, lungo la strada
Era bello passeggiare per le strade di Roma e sentire in anticipo la dolce resa dell'aria di settembre
Quando i passi si destreggiavano tra l'asfalto molle e i gibbosi sanpietrini
Era bello guardare con interesse gli occhi degli altri
Quando il corpo avvertiva il curioso scandaglio di uno sguardo e lievemente irrigidiva, e prendeva coscienza dello spazio che occupava
Era bello il caldo ed era bello il freddo
Quando anche gli altri come me ansimavano oppure accostavano meglio la lana della sciarpa intorno al collo
Era bello non sospettare la stupidità dietro la fronte di ogni donna e di ogni uomo
Quando era facile sentirsi a proprio agio sotto la campana del proprio disagio

06 settembre 2021

Sostanza




Andare oltre la bellezza
superare la fascinazione 
illusorio senso di pace che non può essere un faro, la mèta a cui tendere
Di cosa è fatto dunque l'impulso che ci spinge attraverso lo spazio vuoto
che è il nostro vero ventre-luogo di appartenenza?



30 agosto 2021

Il largo






Stavo prendendo il largo
seduta su un'ostia
i talloni schiacciati
e un fascio di luce sugli occhi
Non vidi mai una sponda


31 marzo 2021

PORTA APERTA

 



Non so bene cosa ci abbia portati qui

che cosa sia rimasto di noi,

sarà stato il diventare presto

un modo di essere soli e risonanti nel buio

mentre la notte ancora non viene

e dai verdi rassodati dalle molte piogge

si stacca un'altra volta l'estate,

una sospirata ingenuità si allontana.

E un posto tanto vuoto che pare ti appartenga

allunga un'ombra sull'ombra che sembrava la tua.


(Pierluigi Cappello, Stato di Quiete Poesie 2010-2016)

27 novembre 2019

Il mestiere di vivere







     "Nell'inquietudine e nello sforzo di scrivere, ciò che sostiene è la certezza che nella pagina resta qualcosa di non detto."



Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, 4 maggio 1942


27 giugno 2019

La solitudine del mondo




"Chi vive il terrore in solitudine, chi non è membro di una comunità, continuerà a cercare una comunità immune da paure, e coloro che detengono il controllo dell'inospitale spazio pubblico continueranno a promettergliela. Senonché, le uniche comunità che le persone isolate possono sperare di costruire e gli amministratori dello spazio pubblico possono seriamente e responsabilmente offrire sono quelle permeate di paura, sospetto e odio. (...) Il mondo contemporaneo è un contenitore pieno fino all'orlo di una paura e di una disperazione erratiche, alla ricerca disperata di sfoghi. "

(Zygmunt Bauman, La solitudine del cittadino globale)

08 maggio 2019

Possibilità




[...] L’importante e il gregario parlavano col proprietario della bettola e ridevano, come vecchi amici rimpatriati da qualche passato di cui compiacersi. Quando l’importante la vide arrivare le piantò le ciglia curve addosso smettendo di ridere. Lei lo fissò, e pensò che in quel singolo momento lo stava davvero controllando ma non aveva la minima idea di come usare quel controllo. E il fatto era che se non riusciva a capirlo, presto si sarebbe ritrovata bloccata in un intreccio psicotropo di volontà maschili enormemente più vivide delle sue. 

Adesso sarebbe impossibile concentrarsi su queste cose, per via degli smartphone e dei tablet. C’è questa astrazione psicosomatica da commento o gioco o condivisione che simula una partecipazione globale e continua, la presenza costante in un’area comune del tempo che anestetizza il presente, imbrigliando le possibilità di includersi realmente in qualcosa. [...]

30 novembre 2018

Dino Buzzati




"C'è, nel motivo popolaresco della musica, semplice come uno stecco eppure carico di secoli, qualcosa che precisamente diceva addio, con potenza d'amore per quello che fu e mai ritornerà e nello stesso tempo un confuso presentimento di cose che un giorno verranno, forse, perché la musica vera è tutta qui nel rimpianto del passato e nella speranza del domani, la quale è altrettanto dolorosa. Poi c'è la disperazione dell'oggi, fatta dell'uno e dell'altra. E fuori di qui altra poesia non esiste."




Dino Buzzati, Un amore (Buzzati, Opere scelte, Mondadori, I Meridiani, 1998)

24 ottobre 2018

Una storia ungherese, anzi no: italiana



"Ma l’odio non è germogliato all’improvviso. Oh no. Io ho visto la gente di Budapest cambiare. Un pomeriggio dello scorso inverno, poco prima dell’invasione tedesca, ero sul tram quando sono saliti due zingari. Tra i passeggeri si è creata subito tensione. Gli sguardi bassi accompagnavano il silenzio che iniziava a rotolare lento; le parole si spegnevano a canone, prima le voci di quelli dietro quindi di quelli davanti. In un istante, il silenzio ha invaso tutto il tram. Le mani stringevano più forte le borsette o affondavano ancor più nelle tasche. Il controllore ha chiesto ai due zingari i biglietti. Erano anziani. Probabilmente erano arrivati a Budapest da poco. Hanno mostrato il loro biglietto. Il controllore ha detto che non andava bene. Tutti noi che eravamo lì abbiamo visto che il tagliando esibito era corretto. Nessuno ha fatto niente. Neanche io."


Una storia ungherese - Margherita Loy




12 ottobre 2018

Richard Yates - Revolutionary Road



La messa in scena della classe media Americana. Non da parte di Yates, ma di sé stessa,  raccontata da Yates. Il teatro sociale non è un'invenzione di Yates. Lo hanno rappresentato prima di lui Oscar Wilde, Proust, Jane Austen, Virginia Woolf, e altri.  Questo romanzo è un classico, questo tema è universale, spalmato nello spazio e nel tempo.  I Wheeler recitano il loro ruolo di individui e di soggetti sociali presi in un ingranaggio che si illudono di governare (il nome Wheeler, ben descrive il destino di una ruota che gira a vuoto).  E nei termini in cui si esprime la tensione tra questi due aspetti risiede la sua credibilità, proprio mentre lascia trasparire la natura di insondabile mistero insita nel reale. I dialoghi fasulli, la gestualità aritificiosa, il compiacimento delle proprie scelte, sono i fragili mezzi con i quali i due coniugi perserverano nell'illusione della coppia illuminata.
C'è tutto il senso di questo romanzo nella scelta di Yates di far mettere la verità sul piatto a uno psicotico. Uscire dall'ingranaggio per lui significa finire internato, ovviamente. L'unico modo possibile di gridare al mondo la verità, svelando il silenzio tombale e il vuoto assoluto su cui era costruita la loro realtà.