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18 ottobre 2013

Tra sé e sé II

In che senso ho fatto mio il pensiero su volgarità e massa. Credo che la massa sia una somma di individui, che può nascere e crescere come entità specifica solo se ce ne dimentichiamo. La volgarità prende il sopravvento quando ci ostiniamo a pensare la nostra come l’unica vera solitudine, e quando fallisce la nostra capacità di accettazione del fatto che niente di ciò che fa parte della vita, reale o virtuale, possa colmarla. Quando ci affatichiamo nel difendere la nostra integrità e specificità di individui, e allora cerchiamo consolazione nell’ammassarci in tutti i modi possibili, omologando i gusti, con i mi piace, con cieca accondiscendenza. Schiacciando l’immaginazione nel ghetto della nostra vita fatta di orari e responsabilità come fosse un rifiuto.

Non ci rendiamo conto in quei momenti che il sentimentalismo a cui ci sottomettiamo è proprio ciò che ci allontana di più dalla vera compassione umana. Offuscati, ciechi come un feto, penosamente affamati del nulla da cui proveniamo, protesi verso un’incoscienza primordiale.

Non è uno scandalo. E’ una risposta semplice a un disperato bisogno umano. Non tutti sentono per istinto la necessità di lottare per preservare la propria specificità. Ma forse questa necessità dovrebbe essere suggerita almeno come presupposto per un processo evolutivo minimo della coscienza individuale, come dote necessaria per un’esistenza soddisfacente.

Per la verità siamo costantemente in bilico su questo filo, sospesi, tra il desiderio di emergere dall’acqua e il lasciarci annegare. Specie davanti alla bellezza, al dolore, all’amore. Non è misterioso quel bisogno feroce di sparire che sa coglierci in un momento di tragico abbandono? Non è mai chiaro se sia un bruciante desiderio di vita o di morte. E allora, per cancellare il tormento dell’incertezza facciamo dei figli. A volte è impossibile, e magari non basta. E allora scriviamo. E sbagliavamo se pensavamo di sciogliere qualche nodo. Altri dubbi, nuove contraddizioni e tormenti si affacciano.

Ma tanto, cos’altro abbiamo di così importante da fare?

4 commenti:

  1. Bello quello che scrivi. Soprattutto questo: ”Non ci rendiamo conto in quei momenti che il sentimentalismo cui ci sottomettiamo è proprio ciò che ci allontana di più dalla vera compassione umana.” E’ una verità indiscutibile. Quanta ipocrisia nel sentimentalismo e quanta audace verità nella “vera compassione umana”! Che differenza c’è fra un click sbadato e un sentimento autentico? Davvero la nostra è l’epoca del narcisismo autistico?

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    1. Il sentimentalismo, questa grande forma di ipocrisia, è sempre anche l'altra faccia della ferocia. Per questo ne ho paura, sempre. Frequentare i social network è una grande scuola sotto certi aspetti. C'è da vivere nel terrore. Camminiamo sempre in bilico su questa profondissima voragine: chi non è mai caduto nella trappola di un brivido a buon mercato. Ma il grande vuoto che si nasconde dietro una cosa come questa, ecco, è raggelante.

      Un caro saluto Ettore

      Elena

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  2. Già, cos'altro d'importante abbiamo da fare? Ti prego al prossimo post dacci qualche indicazione al riguardo, ché sbrogliare la matassa è proprio difficile.

    Un caro saluto

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  3. E' giusto. Se scrivi cose - anche solo su un bloggettino come questo - devi sapere che chi legge si aspetta qualcosa. D'altra parte quando scrivo c'è una me diversa che si sovrappone all'altra che sta di qua, mi si appoggia sulle spalle e vede cose che io non so vedere. e probabilmente sa anche dare delle risposte (spesso sono altre domande), mentre io qui ti avrei scritto che non potrei mai dare indicazioni a nessuno, ecc... Il mio sogno è sbrogliare matasse attraverso racconti, ma per ora sono oggetti informi, Qualcosa in qualche modo arriverà, C'è sempre questo schermo.
    Ciao peppe, un caro saluto a te

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