Sto leggendo I quarantanove racconti di Hemingway. Li ho presi in prestito in biblioteca, ha una sezione americana piuttosto ricca. Era una cosa che mi sembrava di dover fare da tempo, perchè questo nome si affacciava da più parti accendendosi ogni volta e lampeggiando come un neon di notte.
Ma non vorrei assumerli come una medicina. Piuttosto dispiegarli tra le pareti e sul soffitto, osservarli dal basso, distaccata e un pò stanca mentre lentamente il succo discende e si deposita. Più stretta nel laccio di un ricatto morale, all'ombra di un'etica sconvolta dalla ferocia dell'ordinario, quando privati dei simboli si resta nudi sotto la luce impietosa delle cose e dei fatti. Non sento alcun bisogno di collocarmi dentro il cerchio di un tempo specifico o di una coerenza di situazioni, abiti o gesti in cui fedelmente rispecchiarmi. Sono lì al centro di un caotico affaccendarsi racchiuso in traiettorie esatte, calcolabili da precise leggi. Sembra questo un nodo ricorrente. Per il resto fino a questo momento ho preso nota dello sforzo di mettere a fuoco i confini che separano il coraggio dalla viltà,
ciò che è da ciò che sembra, e come le cose che si dicono a volte suonino il contrario di ciò che si vuole dire.
A mucchi tra le pagine i colpi bassi della normalità contro la naturale prevedibilità della morte in ognuna delle sue varianti.