Ogni racconto di di Flannery O'Connor è un colpo di scure che si abbatte sul lettore senza pietà. La difficoltà nel leggere questa scrittrice non deriva da un'oscurità del linguaggio, o da scelte stilistiche sperimentali come può accadere per esempio con Faulkner al quale viene spesso assimilata (in Faulkner peraltro lo sforzo richiesto viene ricompensato da una metodica traslazione della coscienza di chi legge in un altrove quasi tangibile, dove è possibile respirare ciò che le parole non chiariscono).
Nei racconti di Flannery O'Connor tutto accade nell'esattezza cristallina delle parole.
Non è amata incondizionatamente questa autrice, e con questo intendo procurarmi una buona giustificazione per averla conosciuta molto tardi. Comunque immagino sia effettivamente così, e credo che la motivazione più credibile sia che le sue storie sono crudeli, le conseguenze delle scelte dei personaggi e l'assurdità delle scelte, difficili da accettare, odiose in un modo che non permette di ignorare chi siamo nel mondo reale. Non è confortevole leggere e sentirsi smascherati nella flagranza delle proprie ottuse convinzioni. Senza metafore e oscuri simbolismi l'autrice ci mette in guardia contro le insidie dell'eccesso di virtù. E a quale scopo rendere impenetrabili i dettagli in realtà, quando tutta l'opera della O'Connor nel suo complesso è racchiusa tra i contorni di un'unica grande metafora. Non sentitevi troppo al sicuro, sembra tuonare a guisa di angelo vendicatore ad ogni racconto, voi che vi credete integri, addirittura giusti. L'inevitabile condanna è lì che attende all'epilogo di ogni storia, ed è sempre frutto di un gigantesco errore di valutazione, di una cecità incallita del protagonista. Eppure mi sento libera di leggere questi scritti illuminati dalla luce sinistra di una religiosità coriacea, come un monumento alle incoerenze della natura umana descritta in tutti i suoi più profondi aspetti laici, un'enciclopedia dell'odioso arroccarsi sulle proprie convinzioni che rivelano una totale incapacità di giudicare gli altri senza pregiudizi, e di conoscere chi si è veramente. Ed è con sconcertante maestria che nell'esaltazione delle certezze più resistenti, soprattutto se intessute di traboccante bontà e virtù, scheggia dopo scheggia in ogni racconto si va a lastricare il pavimento lucido e scivoloso dell'inferno.
La conosco solo di nome. Questa tua analisi mi ha convinto. La leggerò. Mi piacciono gli autori che demoliscono le illusioni e ci mostrano noi stessi come non vorremmo vederci. Oltretutto splendida copertina hopperiana. Io invece sto leggendo “La ragazza dai capelli strani” di Wallace. Ho letto i primi quattro racconti e li ho trovati belli. Fra le cose più interessanti che ho letto quest’anno finora. Ciao Elena.
RispondiEliminaCiao Ettore, sopratutto i racconti della seconda parte del volume della O'Connor mi sono piaciuti davvero molto. Sono curiosa di conoscere le tue impressioni.
EliminaLa ragazza dai capelli strani è stato il mio primo Wallace, e mi ha letteralmente folgorato. E' stato come se il mio orizzonte si fosse spalancato improvvisamente e tutto, la realtà, si fosse riempita di un'elettricità nuova, un'energia contagiosa. Amo ancora molto Wallace per questo. Leggerlo ogni volta è sentire che si può fare un uso molto più esteso del proprio cervello.
Grazie, e a presto Ettore