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21 febbraio 2014

La scopa del sistema

Sui miei appunti ho scritto: Lenore bisnonna è Wallace. Poi:  Lenore nipote è Wallace  Poi: Rick Vigorous è Wallace? E poi: Si.

Lenore bisnonna allieva di Wittgenstein è pronta a tutto per dimostrare il potere totalizzante delle parole. Usa le parole per influenzare, anzi plagiare senza remore Lenore nipote, al punto da "rovinarle la vita". Così pensa Rick Vigorous il quale racconta continuamente storie a Lenore nipote che non smette mai di chiederne a Rick. Anche perché crede senza condizioni agli insegnamenti della bisnonna. La quale bisnonna scompare ed è assente per tutta la durata del romanzo, costruito attorno alla voragine lasciata dalla volontaria defezione del vertice della piramide. L'autore non c'è. I personaggi vivono di vita propria, e se esistono è solo grazie alle parole. Ho segnato per più pagine appunti che tornano sempre su questo concetto di esistenza (di una persona di un fatto) garantita esclusivamente dal racconto che se ne fa.
Rick è follemen­te innamorato di Lenore. Ma se Lenore bisnonna è chiaramente Wallace, lo è anche Rick che racconta le storie, e lo è anche Lenore nipote che le legge. Anzi mi sembra che Lenore nipote sia più precisamente il rapporto di W. con la letteratura. Rick Vigorous non può vivere senza Lenore, che tra l'altro è un po' sentimentale riguardo a ciò che legge e si invaghisce di storie melodrammatiche e contorte. Eppure Rick preferisce che le storie le esamini e le scelga Lenore, evidentemente libera dalla contaminazione dovuta al "mestiere" di scrittore (o di editore). E Lenore lotta per non farsi incatenare da Rick. Ha questa convinzione incrollabile nel potere delle parole. E di certo, è proprio lei che più di ogni altro esiste per questo.
Se tutto questo (che è solo una piccolissima manciata di polvere sollevata dal mucchio di ciò che può essere pensato e detto e spazzato dalla scopa del sistema) è presente nel primo romanzo di DFW scritto a ventiquattro anni, non proverò mai più - avendo tra l'altro già fallito più e più volte  - a parlare di Infinite Jest, dove ogni microscopico dettaglio non è che la punta di un enorme iceberg, e dove ogni iceberg non è staccato dagli altri, ma connesso a tutti gli altri enormi iceberg di cui quel romanzo-cervello è fatto, a formare un'enorme rete neuronale di iceberg per cui toccandone uno accendi le connessioni verso un numero impressionante di altri possibili neuroni-iceberg interconnessi.

Dopo aver letto anche questo romanzo e ora che ho parlato di tutto questo è come se Wallace avesse parlato di me. E mi sembra un pò di esistere. Potrò continuare a farlo, anche se sarà necessario farlo in sua assenza.

Oggi è il compleanno di DFW e questo delirio doveva essere un augurio di buon compleanno.
La sua bellissima testa è esplosa, come esplodevano le teste nei suoi romanzi.

Un uomo di parola.



2 commenti:

  1. molto interessante. E particolarmente efficace la definizione (l'immagine, direi) dell'"enorme rete neuronale di iceberg". Da qualche parte ho letto che DFW si proponeva di scrivere romanzi che non fossero "riassumibili": ecco, secondo me ci riusciva benissimo. Tante cose, tante connessioni, un'esplosione di mondi che entrano si sfiorano, camminano paralleli, si incontrano, si attraversano, si scontrano... e su tutto il suo occhio compassionevole. Da leggere e rileggere. Ci sarà sempre qualcosa di nuovo da scoprire nei suoi libri.
    LWV

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    1. E' davvero impressionante quanta profondità ci sia in ogni opera, e quanti universi i racconti ma soprattutto i romanzi sappiano evocare e scomporre. E' una frammentazione che disorienta, e c'è un dolore di sottofondo che non molla mai la presa, ma anche così ti lascia sempre la sensazione di una moltitudine di viaggi possibili ancora da compiere, di chiavi da poter decifrare.
      Ciao Lars,

      Elena

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