30 settembre 2015
25 settembre 2015
La scuola della carne - Yukio Mishima
E' inebriante
trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo in letteratura. E il nuovo non sempre lo è in senso
strettamente cronologico. In
questo caso La scuola della carne è un romanzo scritto nel
1963 da Yukio Mishima (Tokyo 1925-1970) - scrittore giapponese piuttosto
controverso -, e mai pubblicato in Italia fino al 2013. Ogni dettaglio del
romanzo comunque potrebbe essere senza alcuna forzatura un frammento del mondo di oggi. Niente di
futuristico nell'ambientazione o di sperimentale da un punto di vista
stilistico. Ciò che colpisce è piuttosto un'audacia poco comune, almeno per la
letteratura occidentale, nell'avventurarsi su un terreno complesso e pieno di
insidie. Mishima dimostra una sorprendente sensibilità nell'intuire le
dinamiche psicologiche dell'animo femminile, che viene qui sezionato con la precisione di un bisturi.
Il romanzo ha come protagonista
Taeko, affascinante donna dell'alta società di Tokio. Taeko ha quarant'anni, un
divorzio alle spalle e una vita che ricalca le gabbie dorate della nostra
civiltà, fatte di giornate di lavoro ininterrotto fino a tarda sera,
ricevimenti per stilisti di alta moda, ristoranti chic, appuntamenti fissi con
le amiche e un'elegante e profonda solitudine.
Non si tratta di una solitudine che scaturisce da scelte di vita, piuttosto di un
elemento specifico dell’essere umani che persiste al di là delle diverse frequentazioni
e della vita mondana, radicata al punto da gettare una luce indecifrabile sulla
reale natura dei rapporti tra individui e soprattutto di una relazione di
coppia. Taeko ha o crede di avere certezze e punti di riferimento
infallibili riguardo ai possibili risvolti delle sue scelte, e una piccola rete di relazioni superficiali da cui inspiegabilmente - nonostante una sottile insoddisfazione serpeggi costantemente in questi appuntamenti programmati "tra donne" - si sente sostenuta. Prende
a frequentare un locale gay insieme alle sue amiche, e di lì a poco, attratta
da un giovane e prestante barista del locale, riesce ad ottenere un
appuntamento con lui nonostante la quantomai dubbia reputazione del giovane, la differenza di età e di estrazione sociale e l'inequivocabile dato di fatto che li colloca in universi distanti tra loro anni luce. Fin dal
principio Senkichi si trincera dietro una maschera di imperturbabile mistero,
una cortina di non detto che alterna a pose dal candore infantile. Mishima traccia con maestria la rotta di Taeko attraverso un’altalena di fascinazione e paura nella spirale di una passione carnale che la getta nel
caos, la spinge in un groviglio di decisioni sbagliate che prenderà una
dopo l’altra nel tentativo di imbrigliare il controllo che Senkichi esercita su di lei grazie al potere che sa di incarnare in qualità di oggetto del desiderio. Desiderio e potere che egli sapientemente protegge e amplifica ricoprendo i suoi spostamenti e le sue frequentazioni di una coltre di segretezza, condizione che impone a Taeko al primo tentativo di lei di normalizzare la relazione.
Interessante scoprire che uno dei nodi centrali del romanzo è l'idea che quanto più la vicenda è governata dalla carne tanto più si rivela come un'astrazione, un delirio proprio della mente. L'assenza di dettagli scabrosi o descrizioni di sesso esplicite fa emergere forse con maggiore forza questo concetto, che Mishima esprime attraverso le parole della stessa Taeko:
"La nostra relazione, adesso, è terribilmente astratta".
Interessante scoprire che uno dei nodi centrali del romanzo è l'idea che quanto più la vicenda è governata dalla carne tanto più si rivela come un'astrazione, un delirio proprio della mente. L'assenza di dettagli scabrosi o descrizioni di sesso esplicite fa emergere forse con maggiore forza questo concetto, che Mishima esprime attraverso le parole della stessa Taeko:
"La nostra relazione, adesso, è terribilmente astratta".
Per inquadrare meglio i contenuti di questo romanzo e conoscere un pò anche l'autore, segnalo il saggio di Marguerite Yourcenar, Mishima o la visione del vuoto, che fornisce ulteriori spunti di riflessione illustrando le tematiche proprie di questo scrittore e le connessioni con la sua interessante biografia.
Segnalo infine la bella recensione de La scuola della carne su Strani giorni, ancora una volta fonte di ispirazione e grazie alla quale sono felicemente venuta a conoscenza di questo libro e del suo autore.
Segnalo infine la bella recensione de La scuola della carne su Strani giorni, ancora una volta fonte di ispirazione e grazie alla quale sono felicemente venuta a conoscenza di questo libro e del suo autore.
19 settembre 2015
Il nostro piccolo sole
“Il nostro piccolo sole” è il resoconto di un’esperienza
reale. L’autrice ha messo nero su bianco la storia della nascita precoce di suo
figlio Edoardo e di tutto ciò che ha significato per lei e per i suoi familiari.
Essendo a conoscenza delle vicende che hanno portato alla
scrittura del libro e avendone se pur in minima parte condiviso le attese e le
preoccupazioni, ho affrontato la lettura di questo libro in una disposizione di
spirito molto diversa dal solito. Trovandomi in un certo senso su un terreno
completamente nuovo avrei dovuto fare a meno dei consueti riferimenti nell'interpretazione
di questo testo. Pensavo soprattutto a come avrei dovuto pormi di fronte alla
testimonianza di fatti e situazioni di natura tanto intima, pur essendo anche la
storia di tante altre persone che possono aver vissuto esperienze simili. Pensavo
a come sarebbe stato differente rispetto alla lettura di un’opera letteraria di
finzione. Il racconto, il romanzo – in
cui ogni dettaglio per quanto inventato è il più cocciutamente autobiografico – plasma però l’autobiografia, trasfigura
memorie ed esperienze che hanno dato origine all'opera letteraria, sublima
traumi e passioni finché tutto, persino
quando volutamente eccessivo, risulta
accettabile e iconico, fosse anche la più profonda disperazione o il terrore.
Questo però – ne ero ben consapevole - sarebbe stato un viaggio del tutto diverso.
Il titolo non deve trarre in inganno. E’ chiaro fin dalle
prime pagine che non ci sarà consolazione o sollievo per chi ne cercasse, o altro
che potrebbe far pensare all'idealizzazione di un’esperienza: né le aspettative
e le sensazioni legate al concetto di “maternità” nel senso più ingombrante del
termine, né la scelta dei pochi essenziali dettagli da inserire nella storia,
né il modo di raccontarli, un modo che si potrebbe definire minimalista anche se è evidente che si tratta di un flusso che scorre spontaneo e senza sforzo, e che l’autrice non intende
scimmiottare stili o sottostare ad alcun dettame modaiolo. Si tratta dunque di
una cronaca lucidissima, ed è bella perché senza ombre, anche nel resoconto
spietato delle proprie asprezze ed egoismi, di persona che procedendo come un
navigante disperso in una fitta nebbia, senza alcun punto di riferimento,
smarrita e sfinita ma sorretta da una forza misteriosa che la guida ora dopo
ora nel superare i giorni e le attese, è ben consapevole di essere una
controfigura di sé, un alter ego più freddo e meccanico, che osserva come in un
lontano ricordo la sua versione più serenamente umana ma più indifesa; una sé
stessa che in nessun modo sarebbe in grado di affrontare tante impensabili prove.
C’è un lavoro profondo nel tratteggiare la psicologia degli
attori di questa vicenda, un lavoro tagliente e preciso che l’autrice svolge
meticolosamente su sé stessa , senza mai isolarsi veramente dal mondo che la
circonda, dalle persone e dai luoghi che registra e fotografa con chiarezza
estrema anche nei momenti più difficili in cui sembra sentirsene lontanissima.
E questo mondo infatti viene fuori, un universo che viaggia su un binario
parallelo a quello della quotidiana normalità e che è tanto difficile
condividere con chi questo universo non conosce; come spiegare, quali parole
usare per descrivere la violenza di una guerra che scuote le fondamenta stesse dell’esistenza?
Un universo i cui protagonisti sono i
piccoli appena nati e già in lotta per la loro vita, e poi “gli altri” genitori,
i professori , il personale medico – figure che a volte sembrano rappresentare
un possibile alleato altre volte uno specchio in cui non ci si vuole
riconoscere, altre volte ancora una minaccia per il barlume di salute mentale che si
vorrebbe poter preservare; infine le
macchine, che con i loro sibili, i ronzii e i tremendi allarmi invadono le stanze della terapia intensiva e
le menti di madri e padri, esseri che in quella strana penombra si aggirano in cerca di un
sostegno per non crollare e che da esse dipendono per poter tornare a formulare
l’idea stessa di futuro. E’ proprio il
concetto di tempo più di ogni altro ad essere travolto in queste pagine, il
tempo che non passa, o che trascorre scandito da luci e suoni che seminano
angoscia e terrore. La ferocia dell’incomunicabilità emerge in numerosi cupi
passaggi, a cui fanno da contraltare piccoli gesti luminosi di silenziosa
pacificante complicità.
Mi piace considerare questo libro non solo come la
testimonianza della storia complicata di Edoardo raccontata da sua madre, o
come esempio di un uso terapeutico della scrittura, ma come un vero e proprio testo
letterario.
E’ accaduto che una donna, raccontando così bene una storia,
la sua storia, si è rivelata scrittrice.
.
17 settembre 2015
Fame
Vorrei poter capire in quale modo tutta questa spazzatura potrebbe
mai liberarci. E perché mai ciò che si insegue è la bellezza ben sapendo che
buona parte del suo potere abita nell’oscurità e in ciò che intorbidisce lo
spirito. Cerchiamo una consolazione che ci affama. E il rimedio da cui di volta in volta ci
lasciamo illudere non potrà mai soddisfare un bisogno che esige ben altro che
una pallida facciata.
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