“Il nostro piccolo sole” è il resoconto di un’esperienza
reale. L’autrice ha messo nero su bianco la storia della nascita precoce di suo
figlio Edoardo e di tutto ciò che ha significato per lei e per i suoi familiari.
Essendo a conoscenza delle vicende che hanno portato alla
scrittura del libro e avendone se pur in minima parte condiviso le attese e le
preoccupazioni, ho affrontato la lettura di questo libro in una disposizione di
spirito molto diversa dal solito. Trovandomi in un certo senso su un terreno
completamente nuovo avrei dovuto fare a meno dei consueti riferimenti nell'interpretazione
di questo testo. Pensavo soprattutto a come avrei dovuto pormi di fronte alla
testimonianza di fatti e situazioni di natura tanto intima, pur essendo anche la
storia di tante altre persone che possono aver vissuto esperienze simili. Pensavo
a come sarebbe stato differente rispetto alla lettura di un’opera letteraria di
finzione. Il racconto, il romanzo – in
cui ogni dettaglio per quanto inventato è il più cocciutamente autobiografico – plasma però l’autobiografia, trasfigura
memorie ed esperienze che hanno dato origine all'opera letteraria, sublima
traumi e passioni finché tutto, persino
quando volutamente eccessivo, risulta
accettabile e iconico, fosse anche la più profonda disperazione o il terrore.
Questo però – ne ero ben consapevole - sarebbe stato un viaggio del tutto diverso.
Il titolo non deve trarre in inganno. E’ chiaro fin dalle
prime pagine che non ci sarà consolazione o sollievo per chi ne cercasse, o altro
che potrebbe far pensare all'idealizzazione di un’esperienza: né le aspettative
e le sensazioni legate al concetto di “maternità” nel senso più ingombrante del
termine, né la scelta dei pochi essenziali dettagli da inserire nella storia,
né il modo di raccontarli, un modo che si potrebbe definire minimalista anche se è evidente che si tratta di un flusso che scorre spontaneo e senza sforzo, e che l’autrice non intende
scimmiottare stili o sottostare ad alcun dettame modaiolo. Si tratta dunque di
una cronaca lucidissima, ed è bella perché senza ombre, anche nel resoconto
spietato delle proprie asprezze ed egoismi, di persona che procedendo come un
navigante disperso in una fitta nebbia, senza alcun punto di riferimento,
smarrita e sfinita ma sorretta da una forza misteriosa che la guida ora dopo
ora nel superare i giorni e le attese, è ben consapevole di essere una
controfigura di sé, un alter ego più freddo e meccanico, che osserva come in un
lontano ricordo la sua versione più serenamente umana ma più indifesa; una sé
stessa che in nessun modo sarebbe in grado di affrontare tante impensabili prove.
C’è un lavoro profondo nel tratteggiare la psicologia degli
attori di questa vicenda, un lavoro tagliente e preciso che l’autrice svolge
meticolosamente su sé stessa , senza mai isolarsi veramente dal mondo che la
circonda, dalle persone e dai luoghi che registra e fotografa con chiarezza
estrema anche nei momenti più difficili in cui sembra sentirsene lontanissima.
E questo mondo infatti viene fuori, un universo che viaggia su un binario
parallelo a quello della quotidiana normalità e che è tanto difficile
condividere con chi questo universo non conosce; come spiegare, quali parole
usare per descrivere la violenza di una guerra che scuote le fondamenta stesse dell’esistenza?
Un universo i cui protagonisti sono i
piccoli appena nati e già in lotta per la loro vita, e poi “gli altri” genitori,
i professori , il personale medico – figure che a volte sembrano rappresentare
un possibile alleato altre volte uno specchio in cui non ci si vuole
riconoscere, altre volte ancora una minaccia per il barlume di salute mentale che si
vorrebbe poter preservare; infine le
macchine, che con i loro sibili, i ronzii e i tremendi allarmi invadono le stanze della terapia intensiva e
le menti di madri e padri, esseri che in quella strana penombra si aggirano in cerca di un
sostegno per non crollare e che da esse dipendono per poter tornare a formulare
l’idea stessa di futuro. E’ proprio il
concetto di tempo più di ogni altro ad essere travolto in queste pagine, il
tempo che non passa, o che trascorre scandito da luci e suoni che seminano
angoscia e terrore. La ferocia dell’incomunicabilità emerge in numerosi cupi
passaggi, a cui fanno da contraltare piccoli gesti luminosi di silenziosa
pacificante complicità.
Mi piace considerare questo libro non solo come la
testimonianza della storia complicata di Edoardo raccontata da sua madre, o
come esempio di un uso terapeutico della scrittura, ma come un vero e proprio testo
letterario.
E’ accaduto che una donna, raccontando così bene una storia,
la sua storia, si è rivelata scrittrice.
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Grazie Elena per aver colto gli aspetti più profondi del libro. Sarebbe stato facile parlare di commozione ma tu parli di stile, di genere e lo fai sotto un aspetto tecnico e professionale. Non so se sono davvero una scrittrice ma ho cercato i raccontare una storia. Da quello che scrivi, penso di esserci riuscita.
RispondiEliminaE' raro leggere storie che toccano i sentimenti più profondi senza indulgere al malcelato tentativo di suscitare commozione nel lettore. Il sentimentalismo è l'arma di chi vuole far parlare bene di sé senza troppo lavoro. In questo caso si tratta di qualcosa di diverso, ed era importante sottolinearlo.
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