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13 gennaio 2016

La morte dell'Idolo


E’ più facile giustificare la propria dipendenza per la rete e per i social network oggi, che una venerazione artistica. Se sei un sociopatico nella vita reale ma hai uno o più profili attivi sul web, a qualunque età non hai ragioni per sentirti un disadattato, un reietto.

Affido questa specie di confessione alla rete, così tento di vestire con la falsa dignità dei social una paginetta che non potrebbe comunque avere pretese pseudo-giornalistiche, meno che mai letterarie. Tanto vale allora farlo passare per uno dei tanti sfoghi diaristici e piuttosto patetici che imperversano un pò ovunque sul web, da piccola sciocca adolescente intrappolata in una donna alle soglie dei cinquant'anni.

D’altra parte tutti dobbiamo venerare qualcosa. Piuttosto che un dio, il denaro, l’alcol o la droga, meglio allora un idolo che sappia incarnare qualcosa di significativo, meglio anche una rockstar.

Un idolo ti rappresenta, ma non si tratta solo di questo. Il tuo idolo ti conosce, sa chi sei. Quello che fa, lo fa per te, ed è la cosa giusta che serve a te in quel preciso momento della tua evoluzione interiore. Ti accudisce accogliendoti sotto la sua ala, ti accompagna nelle tue noiose o frenetiche giornate piene di impegni ordinari, ti sorprende. Sa cosa fare per rendere la tua vita interessante, è disturbante quando occorre. Ti rassicura, perché le cose che fa, le qualità che incarna sono cose che non sapevi di volere e di essere, e te le fa scoprire. 

Il tuo idolo ti serve, perché ti fa sentire una persona giusta e a posto anche se nel tempo ti sei convinto di essere davvero uno strano, un disadattato o un depresso. Un idolo è un agglomerato di gesti e scelte che diventano i simboli di ogni tua più inconfessabile o magari bellissima particolarità.  Ti definisce, disegna i tuoi contorni, traccia i confini del tuo cosmo. Ti cambia. E’ il tuo vestito di scena, la tua maschera, il tuo sguardo nascosto disperso  per il mondo, un messaggero che porta in casa tua quello che c’è là fuori, e il suo sguardo magicamente è il tuo.

Nel corso degli anni mi sono scelta alcuni idoli, certi fuochi improvvisi spentisi rapidamente così come erano divampati, altri nati nella noia lenta di un tempo dilatato come quello dell'adolescenza -  oppure più tardi con il rinnovato piacere della scoperta in età matura, -  che ardono tuttora di fiamma viva. Tutti hanno in comune una natura creativa, un animo artistico. Si tratta di musicisti, letterati, poeti. Il primo, il più grande e longevo, e l'unico che mi sia scelta che fosse ancora in vita, stella della musica rock/pop, e poi ancora tante tante altre cose, è David Bowie.

Quando avevo dodici o forse tredici anni mi capitò tra le mani un LP che mia sorella aveva portato a casa, forse il prestito di qualcuno: a lei e a quel qualcuno per questa ragione sarò eternamente riconoscente. Il primissimo piano del volto sulla copertina mi colpì immediatamente: una delicata fontana di capelli rossi, la pelle diafana e lievemente cosparsa di lentiggini, un piccolo neo sul labbro superiore, poi gli occhi:  uno specchio d’acqua limpida dai riflessi verdi sulla sinistra, un lago oscuro ampio e profondo sulla destra. Lo sguardo che è diventato il segno di una persistente originalità.  Il disco sul piatto, nell’aria risuonò Space Oddity. Da quel giorno per molto tempo non ci fu altro che questo, a ripetizione, un volto pallido e sfuggente che guardava sopra la mia spalla, e quelle canzoni, quella musica, quelle parole, quella voce. Negli anni a seguire ci furono tanti altri dischi, altri volti, maschere cangianti, e altre canzoni, poi i film. Ma sempre soprattutto la musica. Non era un idolo facile da portarsi appiccicato sul petto alla fine degli anni '70 in Italia. Alla scuola media non avevano idea di cosa parlassi. Ho covato il mio fuoco in segreto per anni. E mai avrei potuto sospettare allora, che tutto questo non sarebbe mai finito.

Space Oddity è stato una specie di portale verso un universo che si esprimeva attraverso un linguaggio completamente nuovo, una specie di crittografia del mondo così come ero abituata a conoscerlo. Allora non capivo quasi nulla di ciò che volesse dire, ma ora non credo che fosse così importante capire tutto. E in fondo non lo è stato neanche dopo. Il messaggio che ricevevo era che il mistero è qualcosa da coltivare e di cui nutrirsi, che esiste molto altro al di là della superficie levigata del reale. Che anche il più irriverente e provocatorio dei testi e dei travestimenti può essere maneggiato con incorruttibile eleganza, che se cammini nel territorio dell'arte puoi diventare intoccabile, e puro. Ogni esperimento musicale, ogni costume, ogni testo, ogni nuova spiazzante trovata mi comunicava che sentirsi diversi dagli altri, e soli, può anche essere una cosa buona, che possiamo utilizzare il nostro senso di alienazione e la nostra specifica individualità per farne qualcosa di strano e perfino bello, se non per tutti almeno per qualcuno. Che possiamo giocare con le nostre particolarità, con un po’ di abilità e di immaginazione riuscendo addirittura ad essere o sembrare quello che vogliamo, e divertirci. Possiamo nasconderci, al punto da mostrarci per quello che siamo senza nemmeno accorgercene. Naturalmente non è così semplice. Ma gli eroi dell'arte servono a questo, fanno tutto il lavoro anche per noi. Hanno il talento, i mezzi, la tenacia, l'arroganza, di certo anche la fortuna, ma soprattutto il coraggio per rischiare e fare tutto quello che noi comuni mortali per varie ragioni non potremmo nella nostra vita ordinaria. Ci permettono di avvicinarci al mistero, alla bellezza, al succo della vita e della morte, e del senso del nostro stare qui. Praticano esorcismi alle nostre più segrete paure. Tutto questo è stato Bowie per me. In questi ultimi quarant'anni o giù di lì ho fatto così tante cose, ho scritto, immaginato, sognato, disegnato, suonato, mi sono sentita felice, triste, attratta, perduta, turbata in tanti modi diversi, spaventata, ispirata, dalla musica e da tutte le geniali follie del mio grande idolo.

Ecco perché oggi, proprio oggi, il terzo giorno dopo il suo 69° compleanno, il terzo dopo aver ricevuto a casa la stella nera del suo ultimo regalo al mondo, oggi in questo 11 gennaio 2016 vengo a sapere della sua morte, e sento che si è spenta una luce, che niente sarà più bello luminoso e interessante come lo era prima. Per questo come me altre persone sparse per il mondo con ogni probabilità stanno provando la stessa strana profonda per certi versi incomprensibile tristezza. Il presente ora sembra buio e vuoto, improvvisamente bloccato, deprivato del poter essere abitato ancora dalla lucida pazzia contenuta in una famelica concezione dell'arte che ha spaziato in ogni direzione succhiando sostanza dal materiale a disposizione del momento, da un'originale e sempre imprevedibile interpretazione del reale e della contemporaneità.

Mentre penso a come David Bowie abbia usato, meticolosamente pianificato e in questo modo sconfitto la propria morte per creare la sua ultima straordinaria opera d'arte, a come abbia dato il meglio di sé fino all'ultimo giorno della propria esistenza terrena e artistica, - queste due da sempre una cosa sola - , sento di essergli grata, perché la creazione di un'opera d'arte è un atto che serve a gratificare e ad esprimere l'ego del suo autore, ma non appena divulgata comincia a vivere di vita propria e diventa un regalo al mondo, a chiunque voglia e sappia raccoglierlo e riconoscerlo.

Io adesso resto qui, immobile, fiera e composta come una vedova aliena, e sola, aspetto. Perché niente che lo riguardi è mai accaduto per caso. E di certo neanche questa volta. Non dimentichiamo le antiche parabole, le nostre ataviche certezze.

Era il terzo giorno quando Gesù annunciò la morte di Lazzaro. E come tutti sanno, Lazzaro dopo il terzo giorno, è resuscitato.


4 commenti:

  1. Blackstar e Lazarus sono due canzoni fantastiche. Meravigliosi addii, raccontati anche dai video e dall’enigmatica copertina dell’album. Son curioso di ascoltare il resto delle canzoni. Avevo letto una recensione entusiastica un paio di giorni prima che morisse. Non immaginavo stesse così male, anche se avevo sentito qualcosa circa il suo stato di salute.

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    1. La copertina dell'Lp è completamente nera, la stella è in realtà un foro che scopre il disco, un buco nero. L'ho ricevuto venerdì, sabato l'ho osservato, ho sfogliato anche le foto all'interno e ho capito che sarebbe stato l'ultimo disco. Non pensavo che significasse anche la fine di una vita. Nessuno che non gli fosse vicino lo sapeva. Ora guardando le foto della prima di Lazarus dei primi di dicembre a New York, appare tanto evidente.
      Blackstar, Lazarus, 'Tis a Pity she was a whore (del 2014 ma presente nell'album in una versione nuova), sono brani incredibilmente belli. Il resto non l'ho ancora ascoltato. Serve tempo per ascoltare questi brani, e di tempo ce n'è molto ora.

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  2. Sono la una e mezzo di notte. Non riesco a dormire. Ogni tanto un trillo sullo smartphone mi avvisa di un nuovo post inserito su qualche pagina di Fb. Ho bisogno di entrare nel mio io. Ma intorno ci sono troppi problemi, troppi pensieri. Ed allora in questi casi, come da 40 anni e più. Lui sarà per l'ennesima volta il mio mantra. Devo scegliere, no ho poco da scegliere.Questa è una notte da:Future legend. Però non ascolterò e basta. La lascerò in sottofondo mentre leggerò ancora le tue riflessioni.E saranno sicuramente accompagnate da una lacrima. Perché il tuo scritto e ciò che è stato e sarà sempre il mio (nostro) David.
    Grazie Elena.

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    1. Già, in Future Legend, come nell'intera produzione di Bowie la Morte è sempre al centro di tutto.
      E ora anche per noi questo è un momento in cui dover fare i conti con il Grande Tema. La nostra angoscia è l'angoscia di essere messi davanti a qualcosa che qualcun altro fino al 10 gennaio ha combattuto anche per noi. E adesso la sensazione è di essere rimasti soli, senza armi.


      Elena

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