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17 gennaio 2013

Espressione

  
Una lettera d'amore, o l'espressione di un desiderio, assoluto, insincero, completamente falso, certo. Tale è l'ebbrezza - generata, respirata - da non potersi figurare a guardare fissi davanti sè o addirittura intorno come normalmente si fa. L'altezza, la vertigine, non sono che il sottinteso bruciante di una follia spaventosa che fa del vuoto l'estasi. E per questo si resta per tutto il tempo a guardare verso l'alto, senza alcuna preoccupazione di essere o non essere sè stessi.





"Il trucco? Eccessivo. Sfacciato. Gli occhi allungati fino ai capelli. Le unghie dipinte. C'è forse qualcuno di normale e ragionevole che cammini su un filo o si esprima in versi? E' davvero da pazzi. Uomo o donna? Mostro, decisamente. Anzichè sottolineare la singolarità di un simile esercizio, il trucco l'attenuerà: non stupisce infatti che un essere carico di ornamenti, dorato, dipinto, equivoco insomma, passeggi senza bilanciere là dove mai si avventurerebbero un piastrellista o un notaio.
    Imbellettato, dunque, e sontuosamente, fino a provocare, non appena comparirà, la nausea. Già alla tua prima piroetta sarà chiaro che quel mostro dalle palpebre violette poteva danzare solo lì. E' senz'altro questa sua particolarità, si diranno tutti, a portarlo su un filo, è quell'occhio allungato, sono le guance dipinte, le unghie dorate a costringerlo là dove noi - Dio ce ne scampi! - non ci avventureremo mai."

(Jean Genet, Il funambolo)

2 commenti:


  1. Mi colpisce nello scritto di Genet la consapevolezza che nessuna persona ragionevole si esprima con la poesia. C’è una frase analoga di Leopardi: ” Una poesia ragionevole è lo stesso che dire una bestia ragionevole.” La follia che spinge sul filo il funambolo deve essere la stessa. Entrambi, il poeta e il funambolo, sono sull’orlo del vuoto. Ed entrambi devono indossare una maschera, dipingersi la faccia, come gli sciamani. Bel post, Elena, un caro saluto.

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    1. Genet definisce addirittura mostro il poeta o il funambolo, la sua maschera lo costringe alla follia. Genet nega qualunque libertà di sottrarsi al suo potere come a una vertigine. E il poeta, in tutto questo, si riconosce.
      Un caro saluto, Ettore

      Elena

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