La città, per un viaggiatore che viene dal caos di Roma, è inverosimilmente calma. I luoghi più visitati come i musei d'arte o di interesse storico legati alla seconda guerra mondiale e al muro, attraggono molti visitatori, gruppi numerosi, scuole. La natura dei luoghi e la loro storia impongono tacitamente una cautela che ovunque ho trovato rispettata. Non dovrebbe essere sorprendente, eppure non mi sono mai sentita tanto a mio agio. Di certo aiuta un controllo capillare ed efficace. Forse si tratta della natura stessa del viaggiatore che si avvicina a una città come Berlino in cui il peso della storia, di una storia recente, è vivo, trasuda ad ogni angolo, si respira, si vede. Non può e non vuole essere ignorato. In metropolitana, ad Alexanderplatz, alla stazione dello Zoo, una umanità varia e brulicante vive il suo tempo. Il tempo e il divenire sono particelle di materia disperse nell'aria, come una coscienza percepibile. A volte è il silenzio mentre le voci si accavallano, un fermo immagine quando tutto è in movimento.
Anche qui come altrove tutto è cambiato, dicono, e intendono dire che qualcosa di unico è andato perduto per sempre. Eppure permane una spiccata intensità, una specificità interna simile a una forma di resistenza. Come una certa immunità alla massificazione, che si manifesta nei tanti modi di vestire, di pettinarsi. Ti guardi intorno e ti senti strano. Sei lì per visitarla, ma in qualche modo finisci per essere tu l'oggetto osservato, anche se nessuno sembra far caso a te o agli altri. Una piccola scintilla si accende, un minuscolo scatto di crescita. Non vorresti proprio sentirti così ordinario.
(Foto Elena Blank, 2018)
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